Quante volte, vagando pei campi
ricoperti di verde trifoglio
e di candidi gigli adornati,
io fissavo, sognante, lo sguardo.
La mia antica campagna solinga,
dove il guardo segnava il confine
e spogliava la mente di pene
per gioir dell'incanto presente.
S'alternavano voci lontane,
al soffuso cantar degli uccelli
e la selva imperiosa e severa
dominava la rupe dimessa.
Le giornate passavan veloci
con la gioia nel cuore di bimba,
giovinezza volava nell'aria
e garriva qual rondine al nido.
Poi, il silenzio di notti azzurrate,
dove l'ombra scendeva, pian, piano
e alla luce dell'ultima stella
io fremevo al frusciar d'una fronda.
Sospiravo al rumore del tarlo
e il cuscino stringevo più forte
ma la croce, sul muro, bastava
a fugar la paura affliggente.
Quando al primo albeggiar, la mia stanza
di fragranza di fior si riempiva,
tutte l' ansie, sgomenti ed angosce
s'involavano come farfalle.
Ritornavo nel mondo fatato,
fra le fate giocose dei boschi,
fra gli gnomi irritanti e molesti,
per goder della fresca mia età.
Quanti giorni son corsi alla sbarra
ed il sole fa il filo alla luna,
or le fate non sanno giocare
e la stella, lassù, non c'è più.
Gioventù…tu, bellezza di vita
che ricopri di grazie e d'incanti,
ma la strada in discesa è finita,
se mi volto... tu già non sei più.
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