Mi hanno cresciuto
le donne con il grembiule scuro
e il fazzoletto in testa,
le miti donne capaci di sfidare
la rabbia dei vicini pur di portare,
alla coniglia incinta, l'erba del fosso
appartenente ad altri;
ho letto libri e consumato inchiostro
comprati al posto delle scarpe nuove
da chi alla festa tanto non andava.
Ho visto la pazienza calpestata
e i pianti asciugati di nascosto;
ho consumato il cibo buono
preparato con l'amore e quel che c'è;
ho sentito storie ben più tristi della mia.
Quando, da grande,
il venticinque aprile e il primo maggio
ho gridato diritti e libertà,
con me non c'erano, festanti nel corteo,
tante donne che nell'ombra
hanno cucito la vita mia e di tanti
perché fossero fragranti di speranze:
erano in casa, ad impastare il pane
o a rammendare una camicia lisa.
Se queste mie parole sono un canto,
che sia d'amore e destinato a loro.
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Le donne con il grembiule scuro è un racconto per immagini, quasi una serie di istantanee che a guardarle si sentono odori e sapori di un tempo perduto.
L'autrice usa un registro volutamente semplice, in cui non mancano alcuni echi pascoliani, per celebrare le sue eroine, le miti donne dal grembiule scuro e il fazzoletto in testa.
Ciò che lega con un doppio filo l'autrice e quelle donne è l'amore. L'autrice lo riconosce e, senza dirlo, fa intuire che la sua emancipazione e quella di tante altre donne (e uomini) è costruita, è fondata, in fin dei conti, sulla rinuncia all'emancipazione da parte di quelle donne, delle madri.
Le prime donne emancipate devono la loro libertà e i loro diritti a quelle donne coraggiose che hanno saputo vivere di poco, di poco anche nei gesti, nei pensieri, chissà… nel pensiero, ma hanno tenacemente voluto che le loro figlie avessero un destino, una vita diversi.
Le donne miti non hanno lottato per sé stesse, per essere altre da ciò che erano state le loro madri, ma hanno lottato perché fossero altre da sé le proprie figlie.
L'ingrata e forse necessaria lotta tra generazioni spesso ha portato a dimenticare che l'emancipazione, le liberazioni da servaggi secolari hanno avuto inizio proprio da quelle miti donne con il grembiule scuro e il fazzoletto in testa.
Per questo siamo grate all'autrice che con finezza ed eleganza, senza retorica, quasi che fosse ancora in quella cucina ove ha "consumato il cibo buono / preparato con l'amore e quel che c'è" ce l'ha ricordato e ha dedicato loro questo canto d'amore.
E da questi versi traspare anche la saggezza appresa in quegli anni, dai libri "comprati al posto delle scarpe nuove / da chi alla festa tanto non andava", soprattutto, dall'aver osservato "…la pazienza calpestata / e i pianti asciugati di nascosto" e, ancora, dall'aver "sentito storie ben più tristi della mia". Come dire che la povertà e la sofferenza non mancavano di passione e compassione verso chi aveva ancora di meno o era stato ancora più provato.
Non dimentichiamo dunque quelle
tante donne che nell'ombra
hanno cucito la vita mia e di tanti
perché fossero fragranti di speranze.
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